Elì.. NOVEMBRE 2015  D. C.  
   N E W T O N    E    L ’ A P O C A L I S S E



di    M A U R I Z I O    M A M I A N I

La prima versione del Trattato sull’Apocalisse di Isaac Newton, che risale agli anni settanta del Seicento, contiene una serie di riflessioni e di strumenti metodologici di estremo interesse per una più piena comprensione  dei legami tra scienza e religione nella delicata fase di formazione del pensiero scientifico moderno. Darò qui solo una traccia, semplificata ma coerente con il testo, delle principali linee di sviluppo e di giustificazione dell’ermeneutica newtoniana.

L’oscurità dell’Apocalisse impone al suo interprete  un dilemma: o esso esprime i piani di Dio – i più saggi e adatti allo scopo – o è del tutto insensato1. La seconda parte del dilemma parrebbe suffragata dal fatto che, secondo Newton,  nessuno aveva avuto successo nel tentativo di comprenderne  le visioni, e quindi il libro della Rivelazione era stato trascurato  da tutte le Chiese. Ma allora – insiste Newton – perché Dio ha dato la scrittura profetica? Ha scherzato? Se le profezie non dovevano mai essere intese, a quale scopo Dio le ha rivelate ?

Newton  introduce  a più riprese l’argomento del disegno per affermare la perfetta  comprensibilità dell’Apocalisse. Il disegno, lo scopo costituiscono la condizione preliminare  dell’interpretazione stessa. Se Dio parla, parla per essere inteso. Le profezie devono quindi contenere un significato accertabile, semplice e comprensibile all’intelletto, adatto a tutti gli uomini, senza richiedere la mediazione dei dotti. Ma allora perché  esse sono così oscure tanto che Newton stesso ritiene che neppure gli uomini più dotti le abbiano mai comprese? L’unica soluzione del dilemma è quella di far rientrare l’oscurità stessa della profezia tra i piani di Dio.

L’oscurità è il mezzo di cui Dio si serve per prolungare nel tempo la rivelazione («E perciò più a lungo sono rimaste nell’oscurità, più sono le speranze che sia giunto il tempo in cui devono essere rese manifeste»2) e per discriminare i veri cristiani dagli apostati. Il vero cristiano è così caratterizzato dalla sua sincera «ricerca della verità». È questa la condizione basilare del vero credente. Il resto – l’illuminazione  dell’intelligenza – è opera di Dio. Il cristiano è dunque  caratterizzato dal suo «understanding»,  il quale non coincide affatto con la dote naturale dell’intelligenza, come si capisce dalla condanna di Newton di quella che Vico chiamerà

«la boria dei dotti»:

Ed è per questo scopo che esse [le profezie dell’Apocalisse] sono avvolte nell’oscurità, e formulate dalla saggezza di Dio in modo che gli sconsiderati, gli orgogliosi, gli arroganti, i presuntuosi, i saccenti, gli scettici, quelli i cui giudizi sono dominati dai loro desideri, dai loro interessi, dalle mode del mondo, dal rispetto umano, dall’apparenza esterna delle cose o da altri pregiudizi; e tutti quelli che, per quanto ricche siano le loro doti naturali , tuttavia non sono capaci di scorgere la saggezza di Dio nel meccanismo della creazione; che questi uomini, i cui cuori sono così induriti, vedendo vedano e non percepiscano, e udendo odano e non capiscano3.  

 C’è in Newton il motivo del ritorno alla semplicità evangelica che si manifestava ai bambini e «al popolo basso», «ye inferiour people»4. Questo  motivo non diventa mai socialmente eversivo, perché la Chiesa è intesa come una società virtuale, composta dai singoli ricercatori  della verità, ai quali soltanto Dio si rivolge. Newton vuole distinguersi dalle teste calde che, in nome di qualche passo male inteso delle Scritture, censurano e biasimano i superiori e inveiscono contro ciò che non gli va a genio5.

L’«understanding»  cui Newton fa appello è quello capace di scorgere la saggezza di Dio, l’unità del suo disegno, tanto nella natura,  quanto  nella scrittura.  È un «understanding»  comune a tutti gli uomini, che è caratterizzato in positivo dalla dinamicità della ricerca individuale della verità, e acquista una forte connotazione etica del contrasto con chi è accecato dai pregiudizi. Certamente

anche l’«understanding» di Newton è eversivo, ma il suo scopo non è questo: esso deve cogliere il disegno di Dio, e aderirvi. Tutti dunque possono comprendere  la “sostanza” della profezia con assoluta certezza.

Ma qual è la sostanza della profezia? La profezia ha un contenuto e una funzione o scopo. Il contenuto della profezia è la storia, nient’altro che la storia delle cose che devono accadere6. Da questo punto  di vista, essa non differisce dalla storia comune se non per il diverso riferimento al tempo. Il tempo che l’uomo può conoscere è solo quello passato, mentre è propria della rivelazione divina la conoscenza del futuro. Ma l’identità di contenuto tra la profezia e la storia esige che si interpreti la prima con i medesimi mezzi con cui si costruisce la seconda. Ecco perché Newton parla di costruzione della profezia, che è l’esito proprio  della sua interpretazione.  Sul significato particolare che il termine «costruzione» riveste nell’ermeneutica newtoniana occorre rifarci anche all’influenza della tradizione grammaticale, logica e retorica che Newton  aveva appreso  nel manuale di logica del Sanderson,  di cui parlerò in seguito. Per intendere l’Apocalisse occorre dunque fissare delle regole di costruzione. Queste saranno precedute  da
- regole generali per interpretare  le parole e il linguaggio della Scrittura, e saranno seguite da
- regole specifiche per interpretare l’Apocalisse.

Oltre a un contenuto, la profezia ha una funzione o uno scopo. Per quale motivo Dio ha rivelato agli uomini la storia futura? Indubbiamente  perché riteneva utile che fosse conosciuta dagli uomini. C’è dunque  nella storia degli ultimi eventi un contenuto  la cui conoscenza non può non essere necessaria agli uomini e alla Chiesa. Infatti:

Tutte le profezie sacre sono date per l’uso della Chiesa, e perciò devono essere capite dalla Chiesa in quei tempi per il cui uso Dio le ha destinate. Ma queste profezie non furono mai capite dalla Chiesa dei primi tempi: essi non pretesero affatto di capirle, né pensarono che interessassero i loro tempi, ma con consenso universale tramandarono alla posterità la famosa tradizione dell’Anticristo, di cui si descriveva la venuta negli ultimi tempi. E perciò dal momento che queste profezie non sono state ancora intese, e Dio non può essere deluso, dobbiamo riconoscere che esse furono scritte e si dimostreranno utili per il tempo presente e futuro, e così non sono ancora compiute. Perciò gli uomini stiano attenti a non tentare di distorcere o intralciare l’uso di queste scritture, per non trovarsi a lottare contro Dio7.

Lo scopo delle profezie dell’Apocalisse è l’edificazione della vera Chiesa, che si realizzerà alla fine dei tempi. Le Chiese storiche non sono ancora la vera Chiesa. Anzi. La necessaria degenerazione delle Chiese, per Newton, non solo è scritta a chiare lettere nell’Apocalisse, ma è una pura constatazione di buon senso se si considera la loro molteplicità. L’unica Chiesa che Newton ri conosce, come si è già accennato, è una Chiesa virtuale composta di persone sparse nello spazio e nel tempo, scelte da Dio, la cui vita è caratterizzata dalla ricerca della verità. Questa Chiesa virtuale diverrà reale solo alla fine dei tempi.

Se questo è lo scopo dell’Apocalisse, allora il suo contenuto  è chiaro:
in questa profezia viene narrata la storia dell’Anticristo affinché i veri credenti  possano riconoscerlo, e, non aderendo  al suo regno, salvarsi. Infatti «il loro intento è mettere alla prova gli uomini e convertire i migliori; così che la Chiesa possa essere più pura e meno frammista di ipocriti e persone indifferenti»8.

Newton ritiene di aver individuato in questo modo il contenuto semplice e razionale dell’Apocalisse. I cristiani devono affrontare la stessa prova degli Ebrei, e, se non la supereranno,  subire la stessa condanna, perché Dio è giusto oltre che misericordioso:

E se Dio fu così adirato con gli Ebrei perché non avevano esaminato più diligentemente le profezie che egli aveva dato loro per riconoscere Cristo, perché dovremmo pensare che ci scuserà se non esamineremo le profezie che ci ha dato per riconoscere l’Anticristo? Poiché certamente aderire all’Anticristo deve essere per i cristiani un errore tanto pericoloso e tanto facile quanto lo fu per gli Ebrei rifiutare Cristo. E perciò è tanto nostro dovere sforzarci di essere in grado di riconoscerlo, noi che possiamo evitarlo, quanto lo fu il loro di riconoscere Cristo che potevano seguire9.


È il mistero dell’iniquità, dunque,  al centro  dell’Apocalisse, riassunto nella figura dell’Anticristo, che è la figura dell’inganno per antonomasia. L’Anticristo assomma in sé ogni inganno, e l’inganno per essere veramente efficace deve essere seducente e presentarsi con le vesti esteriori della verità.

Ma se l’ora dell’Anticristo non fosse ancora venuta? Newton prevede questa obiezione, e nella sua risposta mostra di non avere una concezione dell’Anticristo puramente  escatologica. In quanto principe dell’inganno, egli è preceduto  da qualunque  inganno sia perpetrato  ai danni degli uomini, e la molteplicità stessa delle religioni, in base a una considerazione semplicemente probabilistica, rende l’inganno sempre possibile:

L’Anticristo doveva sedurre l’intero mondo cristiano e perciò può facilmente sedurti, se non sei ben preparato  a riconoscerlo. Ma se ancora egli non fosse venuto in questo mondo, pure in mezzo a tante religioni, di cui solo una può essere quella vera e forse nessuna di quelle che conosci, non è poi così incredibile che tu possa essere ingannato, e perciò ti interessa essere molto circospetto10.


Ed è proprio  per questa circospezione, assai vicina al dubbio cartesiano, che Newton doveva denunciare  gli errori degli interpreti dotti. In che cosa avevano errato questi interpreti?

Fondamentalmente per un eccesso di immaginazione. Newton la chiama, per sottolinearne la negatività, immaginazione privata, cioè soggettiva, arbitraria. È questa l’eresia per antonomasia: avere più fiducia in se stessi e nelle proprie immaginazioni che nella Rivelazione. Non comprendendo  veramente la parola di Dio, essi vi hanno  sovrapposto  la propria.  Il parallelismo con il metodo scientifico di Newton  risulta assai chiaro: le immaginazioni private che corrompono  l’interpretazione delle Scritture, sovrapponendovisi, sono del tutto equivalenti alle ipotesi e ai sogni temerari dei filosofi ipotetici che si sovrappongono  alla realtà dei fenomeni, cioè, da ultimo, al piano della creazione, all’opera di Dio. L’affermazione metodologica di Newton che più ha colpito la comunità scientifica del suo tempo, hypotheses non fingo, significa

anche non sovrappongo la mia immaginazione a quella di Dio, distorcendola.  La scoperta  dell’oggettività almeno come idea regolativa – ha dovuto percorrere  la tortuosa via dell’ermeneutica biblica.

Tra gli interpreti  che l’hanno preceduto,  Newton  assolve soltanto, e in parte, Joseph Mede, riconoscendogli il merito di aver iniziato a metodizzare l’Apocalisse. Per gli altri ha parole assai dure, poiché si sono presi la libertà «di distorcere le parti della profezia dal loro ordine naturale secondo il loro capriccio, senza riguardo  ai caratteri  interni  mediante i quali dovevano essere dapprima  connessi». In questo modo «non sarebbe stato molto difficile, tra la grande varietà di cose del mondo, applicarle più volte a tale varietà, in modo da avere una qualche parvenza di interpretazione. E ancora tutto ciò che ho visto oltre i lavori di Me- de è così raffazzonato e costruito senza alcuna debita proporzione, che temo che alcuni di questi autori non credano affatto alle loro stesse interpretazioni»11.

L’ordine naturale, i caratteri interni, la debita proporzione sono i nuovi criteri interpretativi che Newton vuole introdurre.

Per Newton è evidente che non possono coesistere non dico molte, ma neppure due diverse interpretazioni della Rivelazione,
pena lo smarrimento della parola divina. Se nessuno può raggiungere una qualche certezza nella conoscenza delle Scritture «ciò equivale a rendere le Scritture una regola di fede non certa, e così riflettere l’incertezza sullo spirito di Dio che le ha dettate»12. Ma poiché vi è perfetta  omologia tra le parole di Dio e le sue opere, questo stesso argomento ha valore anche nella ricerca scientifica.

Giungiamo  così al cuore tanto  del metodo  ermeneutico  di Newton quanto del suo metodo scientifico, che può essere rias- sunto nelle parole che terminano  la non breve introduzione  al Trattato: non lottare contro Dio13. Questo imperativo, tradotto in termini positivi, costituisce il «metodo»  di Newton:  ridurre  la profezia al suo significato univoco, ridurre i fenomeni a una leg- ge unica. L’univocità della profezia e l’unicità delle leggi della natura  sono il segno della loro verità: «È vero che un artefice può costruire una macchina capace di essere assemblata in più

di un modo con uguale congruenza, e che una frase può essere ambigua: ma questa obiezione non può aver luogo per l’Apocalisse, perché Dio che sapeva comporlo senza ambiguità lo intese come una parola di fede»14. E nemmeno può aver luogo per il mondo  un’analoga obiezione, senza misconoscere la perfezione dell’artefice.

Il metodo  ermeneutico  di Newton prevede tre fasi.

- La prima fase consiste in sedici regole di interpretazione,  ordinate  dal generale al particolare «la cui considerazione può preparare  il giudizio del lettore, consentendogli di sapere quando  una interpretazione è genuina e qual è la migliore delle due interpretazioni»15. Secondo Manuel 16 esse sarebbero una replica delle regulae philo - sophandi dei Principia, ma l’incongruenza temporale  (le regole dei Principia sono state scritte quasi quarant’anni dopo quelle del Trattato) è eccessiva persino per chi, come Manuel, usa strumenti psicanalitici per sondare le profondità della scienza classica. È vero ovviamente il contrario. Queste regole sono in gran parte una rielaborazione di quelle contenute  nel Logicae artis compendium di Robert Sanderson17, un manuale di logica e retorica, ampiamente indebitato  con la tradizione aristotelica, che faceva parte del curriculum universitario seguito da Newton.

Non passerò in rassegna queste regole una per una, né le confronterò con quelle, notissime, dei Principia18. Voglio solo sottolineare la funzione che esse hanno tanto nell’ermeneutica newtoniana dell’Apocalisse quanto nella scienza matematico-sperimentale dei Principia. Esse hanno il compito di garantire l’interpretazione, fissandone le condizioni formali di possibilità. In altre parole, ci consentono di sapere qual è la migliore di due interpretazioni (che si tratti di interpretare il linguaggio rivelato o il mondo nei suoi fenomeni non fa molta differenza per Newton,  giacché sia la Rivelazione sia la creazione del mondo discendono da Dio e dalla sua volontà). Questa funzione delle regole rimane inalterata nei Principia. Anche in questo caso, ci consentono  di stabilire qual è la migliore di due interpretazioni dello stesso esperimento.

- La seconda fase del metodo  consiste nell’elaborazione  delle definizioni. Il linguaggio profetico deve essere compreso  nella

propria specificità di linguaggio figurato. Esso era il più adatto a comunicare le verità rivelate perché era quello meglio compreso da tutti. Il ragionamento di Newton  è il seguente: Dio diede le profezie perché  fossero interpretate  dal talento umano (se non potevano essere comprese, forse che Dio ha scherzato?); le Sacre Scritture attestano che gli antichi saggi (i maghi del Faraone, i caldei, i magi orientali e gli interpreti  dei sogni) avevano questo talento; dunque, la dottrina degli antichi interpreti  è certa. La conclusione viene rafforzata dalla considerazione dell’accordo  delle tre nazioni orientali (Egitto, Persia e India) attestato  dall’arabo Achmet, autore di un libro sull’interpretazione dei sogni, che ha conservato e trasmesso questa antica dottrina,  «dal momento che è insolito un simile accordo sulle dottrine  che diverse nazioni, o diversi uomini nella stessa nazione, formulano secondo le loro private immaginazioni»19.

Di fatto, le definizioni costituiscono il vocabolario del linguaggio profetico.  «Con questi mezzi – aggiunge Newton  – il lin- guaggio dei profeti diventerà certo e la libertà di forzarlo a im- maginazioni private sarà esclusa. Chiamo definizioni i punti a cui riduco queste parole»20. Fatta salva la particolarità del linguaggio profetico, le definizioni hanno  la medesima funzione anche nei Principia.

- La terza fase del metodo consiste nelle proposizioni. Premesse le regole e le definizioni, l’Apocalisse viene divisa in parti che vengono paragonate tra di loro e quindi ordinate. La sostanza della profezia viene stesa in proposizioni, a ognuna delle quali viene ag- giunta la ragione di verità, cioè la dimostrazione. Le proposizioni dei Principia, fatta salva la diversità del contenuto, vengono tratta- te allo stesso modo. È vero che nel Trattato Newton usa definizioni linguistiche e nei Principia definizioni matematiche; tuttavia, poiché sono entrambe trattate  more geometrico, Newton le considera allo stesso modo: esempio di fusione, o forse non del tutto consapevole confusione, tra metodi tradizionalmente distinti.

Il metodo di interpretazione  dell’Apocalisse è dunque, formalmente, lo stesso metodo  matematico-sperimentale  dei Principia. Per di più, un apparato  molto simile anche per l’ottica era stato

descritto da Newton in un passo di una lettera a Oldenburg  del 1672:

Per adempiere il vostro invito [...] compilai una serie di tali esperi- menti con il proposito di ridurre la teoria dei colori a proposizioni e di provare ogni proposizione  con uno o più di questi esperimenti mediante l’aiuto di nozioni comuni redatte in forma di definizioni e assiomi ad imitazione del metodo con il quale i matematici sono soli- ti provare le loro dottrine21.

Il metodo  scientifico di Newton  ha così gli stessi pregi e gli stessi difetti del suo metodo ermeneutico. Sui pregi è forse inutile insistere, anche se la specularità dei due metodi ci consente di va- lutare meglio entrambi.  La conseguenza principale  del metodo ermeneutico di Newton è una forma di dogmatismo eroico:

Colui che senza miglior fondamento della sua opinione privata o dell’opinione di un’autorità umana quale che sia, volgerà le Scritture dal significato palese a un’allegoria o a qualche altro significato meno naturale, manifesta di riporre nelle sue proprie  immaginazioni o in quell’autorità umana una fiducia maggiore che nelle Scritturee di conseguenza di non essere un vero credente›. E perciò l’opinione di tali uomini, per quanto numerosi essi siano, non deve essere presa in considerazione. È per questo e non per una reale incertezza delle Scritture che i commentatori le hanno così distorte; e questa è stata la porta attraverso cui tutte le eresie si sono insinuate e hanno scacciato l’antica fede22.

.

Con la svalutazione dell’immaginazione privata Newton  intendeva ridurre  al minimo gli arbitrî  interpretativi,  ma nello stesso tempo il suo metodo  impediva l’esercizio della critica e della discussione. Dopo  la costruzione, la verità dell’Apocalisse è pienamente scoperta.  Non  c’è più nulla da investigare «dal momento che le ragioni con cui ho provato ogni particolare sono di tale evidenza che non possono non muovere l’assenso di qualsiasi persona moderata e imparziale che la leggerà con sufficiente attenzione, credendo sinceramente alle Scritture»23. Chi non darà quest’assenso, sarà con ciò stesso posto al di fuori della Chiesa, della comunità

virtuale dei ricercatori della verità. Allo scopo basta l’«understanding (L'ILLUMINAZIONE DELLINTELLIGENZA)» di «un semplice uomo comune». Infatti se leggerà sol tanto le Scritture «può darne un giudizio e sentirne la forza con altrettanta  chiarezza e certezza con cui può apprendere  una dimostrazione di Euclide»24. Il fondamento  di questo dogmatismo di Newton è certamente il senso forte da lui attribuito alla nozione di verità, che si origina in ogni caso da Dio. Ogni errore è implicitamente un’eresia.  Per mitigare questo  aspetto,  Newton precisa:

«Tuttavia non vorrei che questa affermazione fosse intesa come un impedimento  per una ricerca ulteriore da parte di altre persone. Sospetto che esistano ancora altri misteri da scoprire. E come il signor Mede pose i fondamenti, e io ho costruito su di essi, così spero che altri procederanno  oltre, finché l’opera sarà compiuta»25. Ma questa ricerca ulteriore va intesa come cumulativa. Essa andrà ad aggiungersi a ciò che è certo. Newton non accetta obiezioni:

Quindi se qualcuno obietterà che la mia costruzione dell’Apocalisse è incerta, con la pretesa  che sarebbe possibile trovare altri modi, non deve essere preso in cosiderazione a meno che non mostri in che cosa ciò che ho fatto può essere corretto.  Se i modi per i quali egli obietta  fossero meno naturali  o fondati su ragioni più deboli, questa cosa stessa sarebbe la dimostrazione sufficiente che essi sono falsi, e che egli non cerca la verità ma l’interesse di parte. E se il metodo che io ho seguito fosse in accordo alla natura e allo spirito della profezia, non ocorrerebbe  nessuna altra dimostrazione per convincerlo26.

Non aspettiamoci da Newton un atteggiamento diverso in cam po scientifico, poiché il metodo scientifico di Newton  è fondato sugli stessi criteri del suo metodo  ermeneutico.  Così, incalzato dalle obiezioni di Hooke alla sua teoria dei colori, Newton aveva già risposto ad Oldenburg  con lo stesso tenore e quasi con le stesse parole usate nel Trattato: «... mi sembra lecito desiderare  che tutte le obiezioni, tratte da Ipotesi o qualsiasi altra immaginazione, siano sospese tranne queste due: mostrare l’insufficienza degli esperimenti [...] oppure addurre altri esperimenti che direttamente mi contraddicono,  se può sembrare che ne esistano»27.

Ciò nondimeno le settanta definizioni in cui Newton restringe e condensa il linguaggio figurato delle profezie hanno la stessa arbitrarietà delle definizioni matematiche dei fenomeni ricavate dagli esperimenti. Che sia molto più difficile accorgersi di quest’ultima che non della prima è un effetto su cui occorrerebbe riflettere per comprendere  meglio la natura  della scienza newtoniana, e il grande successo che ottenne.

N O T E

1    I. NEWTON, Trattato sull’Apocalisse, a cura di M. MAMIANI,  Bollati e Boringhieri, Torino, 1994, p. 35.

2    Ivi, p. 3.

3    Ivi, p. 35. Corsivo aggiunto.

4    Ivi, p. 14.

5    Ivi, pp. 13-14.

6    Ivi, p. 33.

7    Ivi, pp. 17-18.

8    Ivi, p. 35.

9    Ivi, p. 7.

10  Ibid.

11  Ivi, p. 17.

12  Ivi, p. 25.

13  Ivi, p. 19.

14  Ivi, p. 31.

15  Ivi, p. 19.

16  F.E. MANUEL,  The religion of Isaac Newton, Oxford, 1974, p. 98.

17  Oxoniae, 1618. Ora in edizione anastatica, Bologna, 1985.

18  Su questo punto,  e per un confronto dettagliato tra le leggi della logica di San- derson e le regole newtoniane per l’interpretazione dell’Apocalisse, cfr. M. MA- MIANI, La scienza esatta delle profezie, in I. NEWTON, Trattato sull’Apocalisse, cit., pp. xxx-xxxiv.

19  Ivi, p. 53.

20  Ivi, p. 19.

21  The Correspondence of Isaac Newton,  a cura di H.W.  TURNBULL,  Cambridge,

1959, vol. I, p. 237. Cfr. anche M. MAMIANI,  Isaac Newton filosofo della natura, Firenze, 1976, pp. 184-212.

22  I. NEWTON, Trattato sull’Apocalisse, cit., p. 25.

23  Ivi, p. 31.

24  Ivi, p. 37.


M A U R I Z I O   M A M I A N I

25  Ivi, p. 31.

26  Ivi, pp. 29-30.

27  The Correspondence of Isaac Newton, cit., p. 210.